Non so bene con precisione perchè, ma tra gli obiettivi per i miei 30 anni ho sempre avuto in mente quello di provare a correre una Maratona. L’intenzione iniziale era quella di coronare il sogno partecipando a quella di New York, ma purtroppo non trovando il pettorale disponibile e ad un costo accessibile, decisi insieme al mio fidanzato di iscrivermi a quella di Venezia: La Venice Marathon. La decisione la prendemmo in maggio, dopo avere concluso le mie prime tre mezze maratone: Stramilano, Genova e per concludere quella di casa; la mezza di Como.
Anche se ancora non mi definisco una Runner, ma una ciclista che tenta di correre, ho sempre amato la corsa a piedi. Ricordo ai tempi delle medie, l’atletica era tra le mie attività scolastiche preferite e alle campestri, senza chissà quali allenamenti specifici, portavo a casa discreti risultati. Cosí, a distanza di anni, un giorno riprovai e dopo qualche chilometro al buio, freddo e sotto l’acqua me ne innamorai. Purtroppo però si sa, correre è più traumatico che uscire in bici, cosi a causa di un problema di appoggio e di una ricorrente fascite plantare, decisi di incentivare l’attività ciclistica abbandonando totalmente l’idea del podismo. Fortunatamente però, dopo qualche anno di stop forzato, grazie al consiglio dei medici sportivi di Medcross, ho iniziato ad utilizzare dei plantari costruiti su misura per me e con l’ausilio di questi e di qualche seduta massoterapica con Arianna sono riuscita a tornare a correre.

Dicono che correre sia una “droga” e lo confermo. Le sensazioni che ti regala sono paragonabili a una scorpacciata di cioccolata. È una percezione di benessere fisico che in inglese viene definito: “Runner’s High”, lo sballo del corridore. Citando Truman Capote il quale diceva: “Venezia è come mangiare un’intera scatola di cioccolatini al liquore in una volta sola”, figuratevi dopo averci corso una maratona. Le premesse iniziali però non furono le medesime. Quando il giorno prima della gara sono partita per Venezia, il mio stato di salute non era eccellente. Dolore a una gamba, tosse e raffreddore. Per non parlare delle previsioni meteo. Fortunatamente il sostegno di Fabio e degli zii che mi hanno accompagnata, sono stati d’aiuto e mi hanno incoraggiata a partire e a provarci lo stesso. Generalmente non sono una che si tira indietro facilmente, ma l’idea di correre 42Km in quelle condizioni ammetto che mi ha intimorito un po’.
La sera prima della gara come sempre ho preparato tutto il necessario prima di coricarmi a letto, cambiando le lenti ai miei NRC X1, optando per quelle trasparenti viste le condizioni di brutto tempo. Punzono il pettorale sulla maglia dell’organizzazione e preparo i miei calzoncini corti utilizzati in allenamento. Infilo tutto il cambio nella sacca da consegnare in partenza che mi verrà consegnata all’arrivo.
Trascorsa una notte un po’ insonne per via della tosse persistente, mi sveglio dal rumore della pioggia battente sul tetto. È il 28 mattina. Colazione in albergo bella carica, cercando però di non esagerare. Vengo accompagnata da Fabio e zii in gabbia di partenza. Sono un po’ infreddolita e molto frastornata, direi anche agitata. Fortunatamente dopo avere consegnato la sacca, la pioggia si fa da parte facendo spazio a un raggio di sole che mi ha riscaldata e motivata giusto poco prima della partenza.
Partita in fondo in gabbia 5, volutamente defilata insieme agli ultimi, guardo gli altri con ammirazione e senza un briciolo di competizione. Mi sembravano tutti super attrezzati. Chi con calze compressive, chi con cinture piene di acqua e gel. Pensando ai miei 800km di corse nelle gambe di quest’anno, senza seguire tabelle e allenamenti specifici. Quel preciso istante tornano alla mia mente i discorsi di qualche conoscente runner che ha valutato insufficiente e poco adeguata la mia preparazione, dubbiosi sulla mia riuscita nel portare a termine una corsa cosi lunga e ostica come la maratona di Venezia. Improvvisamente sento di avere appoggiato i miei piedi su un terreno sbagliato. Eppure la voglia di esserci e di provarci sono più forti delle mie gambe. Tutti quegli allenamenti al mattino presto, al freddo o al buio, sotto l’acqua e sotto la neve, li ho rivissuti tutti dentro di me. Come una bellissima attrezzatura addosso, pagata un sacco di soldi.
I sacrifici fatti per raggiungere quell’obiettivo, erano tutti sulle mie spalle.
Partita da sola, 5’ dopo lo start ufficiale, in mezzo a 8.000 persone circa, ho iniziato la mia corsa con in testa il mio primo obiettivo; raggiungere Fabio e gli zii al km 20, con l’accordo del: “Se riesci prosegui, altrimenti vieni via con noi”. Arrivata al ventesimo chilometro sento le gambe cariche, la testa anche. Li saluto e decido di proseguire.
Ho utilizzato bene la prima metà di gara come riscaldamento, andando in risparmio energetico, molto più lenta del mio passo abituale, ma con solo l’obiettivo di arrivare alla fine, usufruendo delle aree di ristoro previste dall’organizzazione. Poste ogni 5km, con acqua, sali, qualche frutto e biscotti sono state gestite egregiamente da volontari e Scout. Non sono molto abituata a mangiare durante la corsa, ma per una gara cosi impegnativa mi sono obbligata a farlo. Piccoli sorsi continui, per evitare i crampi, qualche pezzetto di banana e un paio di gel.
Ho corso tutto il tempo ascoltando il mio passo, guardando la frequenza cardiaca sul mio Garmin 735XT e ciò che mi circondava. Ricordo con piacere i musicisti posizionati fuori da qualche bar; la musica dà sempre un’energia pazzesca quando si corre e oltre loro, anche tutti gli astanti che lungo la strada ci incitavano. Qualcuno anche urlando il mio nome, posizionato visibile sul pettorale. La gioia dei bambini a cui ho battuto il cinque, pronti ad aspettarci. Gli ho sorriso mentre gli andavo incontro, con l’intento di trasmettergli, se pur per un breve momento, passione e felicità del fare sport.
Man mano che il chilometraggio aumentava, sentivo che ce l’avrei fatta, tranne al km 33 quando sul ponte che da Mestre porta a Venezia ho iniziato ad avvertire quella famosa crisi, tanto rinomata e poco da me valutata. Un crampo alla pancia mi costringerà a rallentare. Sarà il vento gelido contro, ma fatico quasi a respirare. Guardo l’orologio e vedo che le pulsazioni sono aumentate. Sfilo dai calzoncini una barretta BRN per reintegrare un po’ di energia. Rallento e mi guardo attorno. Sconfortata vedo persone in condizioni peggiori. Chi tenta di correre, chi cammina, chi si ferma. Alzo lo sguardo e intravedo San Marco davanti a me, ma pur correndo, sembra sempre lontana e non avvicinarsi mai. Supero la crisi del 33esimo km pensando a quell’obiettivo che dall’inizio dell’anno mi ha portata fino a li. Devo arrivare sotto il traguardo! Penso, continuando a ripetermi che “sono forte e ce la faccio.” Al Km 35 la crisi è passata. Sto bene e ce la posso fare. Corro esaltata fino al 39esimo km, quando improvvisamente il gruppetto di persone posto di fronte a me rallenta fino a fermarsi: “NO!” Esclamiamo tutti in coro. 115cm d’acqua davanti a noi. Siamo a Venezia. Ci tuffiamo e con l’acqua fino alle ginocchia camminiamo aggrappandoci, chi alle transenne, chi all’amico accanto. Vedo un fotografo cadere con tutta l’attrezzatura in mare. Lo aiuto insieme ad altri a rialzarsi. Inizio a sentire freddo e i tagli creati dal tessuto dei calzoncini sulle mie gambe che a contatto con il sale bruciano violentemente. Ad un certo punto vedo i famosi ponti tanto a me rinomati. “Venezia è dura!” Mi dicevano. “Ci sono i ponti”. Si erano però dimenticati di dirmi dell’acqua.
Ho amato quei ponti. Mi hanno evitato di stare con i piedi a mollo e di dovere saltare tutto il tempo. Gli ultimi chilometri di gara sono stati cosi, arrivando sotto il traguardo saltellando. Sarà stato il gesto, l’atmosfera particolare che ad un certo punto, a furia di saltellare, mi sono anche divertita. Sentivo che stavo facendo qualcosa di non ordinario e che avrei ricordato per tutta la vita.
Il tifo delle persone si faceva man mano sempre più incoraggiante e lo scenario attorno stupefacente. Inizialmente ammetto di avere avuto un po’ di sconforto e timore, ma l’organizzazione ha saputo modificare il percorso e farci vivere lo stesso la nostra gara, nelle migliori condizioni possibili. Non so da dove sia arrivata tutta quell’energia, ma gli ultimi 3km non ero più stanca. Mi sentivo felice e motivata di arrivare. Così ho iniziato a correre più velocemente. Non m’importava nulla della pioggia, delle scarpe rotte e inzuppate. Volevo raggiungere il km 42. Quando l’ho visto davanti a me, mi sono guardata attorno. Ho intravisto e sentito mia zia, che posizionata accanto al traguardo ha urlato: “Sei una grande!” Credo che quello che ho provato in quell’istante valga più di qualsiasi medaglia.
Aldilà dell’allenamento, non so cosa di preciso mi abbia portata fino al traguardo.
Correre a piedi per me è la ricerca di una sensazione di gioia che a parole è indescrivibile.
Trovo che durante le corse a piedi si respiri un’atmosfera di umiltà e sport davvero bellissima. Le persone si sorridono, si aiutano, si incitano. L’hanno fatto anche con me, mentre li superavo. Stessa cosa ho fatto io con loro mentre superavano me.
A corsa finita non mi sono resa conto di quello che avevo fatto, ma a una settimana dalla gara, ho realizzato la bellezza e la soddisfazione di un’impresa. Portare a termine una maratona come quella di Venezia, definita quest’anno epica e anfibia, è stata sicuramente una bella soddisfazione.
Grazie Venice Marathon per l’organizzazione, per averci accolto in una bellissima città e per averci fatto vivere una bellissima atmosfera di gara, nonostante tutto. Ringrazio anche i miei zii e Fabio per il loro fondamentale sostegno.
Grande!
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Grazie mille 🙂
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bell’esordio
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